La città di Ravello mostra ancora oggi non poche tracce dell’antica murazione, quello stesso baluardo che riuscì a proteggere il centro collinare dai numerosi attacchi che nel corso dei secoli dovette subire. Le fonti storiche, costituite principalmente dalle pergamene dell’Archivio Vescovile di Ravello, non danno alcun ragguaglio circa la costruzione di una cinta muraria che dovette sin da subito, almeno da quando Ravello si impose all’attenzione sullo scenario storico della Costa d’Amalfi, allora ducato afferente all’importante centro di Amalfi, (si può pensare che una prima difesa fu fatta in una data molto vicina all’elevazione del centro a sede vescovile autonoma per volere di Roberto il Guiscardo, che voleva in questo modo controllare la vicina Amalfi, filobizantina). Analizzando ciò che lo storico Matteo Camera[1] scrive nella sua opera, riportando il testo del Regesto di Carlo I d’Angiò (fasc.25, fol.8, v°) che nel 1286 fu ordinato al Giustiziere del Principato Citra di dotare la città di un sistema murario per evitare che i nemici potessero conquistarla. L’invito a potenziare alcuni tratti di mura lo ritroviamo poi anche fatto da Carlo II nel 1289 con precise indicazioni su come e dove operare aggiustamenti. Ma si può pensare che fino al 1286 almeno la città non sia stata difesa da alcun muro, in quanto fino a quella data c’erano stati almeno due attacchi dei Pisani, uno nel 1135 bloccato nei pressi del castello di Fratta a Nord del centro urbano, grazie all’arrivo delle truppe di Ruggiero, l’altro del 1137 con il quale i Pisani ebbero la meglio. Risulta interessante proprio il primo attacco; infatti dalla descrizione dell’avvenimento che ci viene fatta da Alessandro Telesino circa i movimenti delle truppe pisane, sappiamo che Amalfi e Scala furono prese facilmente e che poi l’attacco fu rivolto al castello di Fratta dove ci fu la pesante sconfitta dei nemici. Quindi se Ravello non fosse stata ancora dotata di mura i Pisani avrebbero portato l’attacco direttamente nella città, senza rivolgersi al castello più a Nord e lontano dal nucleo urbano. Provata, senza dubbio, l’esistenza di una cinta fortificata già prima del termine cronologico a cui fanno riferimento le fonti, si può facilmente capire come la città abbia potuto, sin dall’origine della sua storia, sfruttare la posizione dominante e le caratteristiche geomorfologiche dell’area per contare su una difesa affidata in parte anche ai pendii scoscesi. Il riferimento che troviamo nelle fonti dei regnanti angioini sono da riferirsi a restauri avvenuti posteriormente soprattutto in virtù della fortuna che la città godette presso questa casa regnante, grazie ai rapporti di una delle famiglie più importanti, i Rufolo, che, si racconta abbia ospitato più volte presso il proprio hospitio domorum il re Carlo II d’Angiò. I regesti a cui il Camera fa riferimento descrivono delle opere da compiersi per evitare che i nemici possano invadere la città; quello più antico, del 1286, invita il Giustiziere a dotare la platea di detta città di mura di difesa chiedendo contributi per la costruzione agli abitanti, che dal tenore del testo, non dovevano essere proprio d’accordo con il progetto che veniva dal re; quello del 1289 prescrive che venga costruito un muro dotato di guardiole per la difesa, che congiunga il posto di difesa sul Monte Brusara (lì dove fu costruito il castello dopo la distruzione di Fratta nel 1137) con le vecchie torri di Fratta e che giunga fino alla porta di S. Martino “que est in porta platee dicte terre Ravelli”, e che venga costruito un altro muro che dal castello di Supramonte (l’odierna località Civita) arrivi fino al piede del Monte di Cimbrone. Questo ci dicono le fonti, ora proviamo a mettere insieme tutte le tracce che invece sono disseminate sul territorio. Cominciando dalla zona più a nord, dobbiamo registrare che ai piedi del Monte Brusara, incontriamo una struttura che si caratterizza nella tipologia e nel toponimo come una delle porte della città. La struttura presenta un’apertura centrale definita ai lati da due poderose torri circolari che si innestano sul muro di perimetro e che presentano la parte inferiore rastremata a mo’ di scarpa; il toponimo, fortemente probante, è ancora oggi quello di “Porta la terra”, con evidente riferimento alle strade che da lì partivano e che permettevano di uscire dalla città verso la direzione di Tramonti e quella di Scala (di qui si passava attraverso la Via Stabiana verso l’Agro Stabiano). Gli edifici che circondano la struttura d’ingresso alla città sono caratterizzati da vani finestre che sono molto piccole e poste a considerevole altezza a tal punto che alcuni, soprattutto sul lato ovest, possono considerarsi case inserite in torri di avvistamento. Sul lato est, invece, quello rivolto verso il mare, si possono notare numerose strutture che conservano chiaramente l’origine di difesa e che dovevano chiudere questo lato con una disposizione circolare fino a giungere nel punto dove tra le pendici del Monte Brusara e quelle del colle detto il Toro si delinea una sella. Da questo punto in poi non si nota una continuità con questa prima roccaforte, anzi ogni traccia di mura difensive sembra scomparire; la difesa appare, infatti, più verso sud e riferita alla collina del Toro che doveva, per la sua posizione ben difendibile e per numerose tracce di modello insediativo unitario, rappresentare la prima zona di urbanizzazione. La propaggine del Toro verso nord è caratterizzata da una struttura difensiva molto consistente, i cui resti, visibili nel cosiddetto belvedere dell’hotel Caruso, fanno propendere per un punto di difesa rivolto verso nord, costituito da un complesso che doveva prevedere guarnigioni di soldati sempre di stanza e con una pianta molto simile ad un castrum con piazza d’armi allungata e con la strada di accesso alla zona che passa ancora oggi ai piedi della struttura stessa. Nelle vicinanze di quella che viene definita nelle carte dell’archivio come la Turris Magna fu costruita nei primi anni del XI secolo la chiesa dedicata a S. Giovanni voluta dalle famiglie più in vista della città. Da questa porta, riusciamo a seguire il tracciato della mura in modo molto evidente sul lato est; infatti, un muro costruito con pietre calcaree con elevata attività di microrganismi in superficie e tenute insieme da una malta di inconfondibile colore giallo, scendeva costeggiando il ciglio della roccia, a valle della quale è stata costruita negli anni cinquanta del secolo scorso la strada rotabile per il Chiunzi; lo stesso muro lo ritroviamo a fare da macera di contenimento immediatamente ad est del nuovo tunnel, congiungendosi con i resti di una torre pressoché quadrata, di cui sopravvivono, alquanto ben conservati il lato sud e quello ovest. La torre mostra chiaramente che si innestava direttamente sul muro, risultandone, quindi all’esterno, e doveva essere costituita da più piani. Il muro di difesa doveva poi continuare verso sud, in direzione Sud Ovest, seguendo l’andamento del moderno terrazzamento, all’interno del quale, all’altezza della piccola scala che collega le due strade rotabili, si notano i resti di una struttura, più complessa della torre precedentemente descritta, in quanto secondo testimonianze locali c’erano di strutture interrate costituenti cisterne; ciò, in uno al fatto che questo doveva essere uno dei punti coincidenti con le scale che congiungevano le varie quote del nucleo urbano, farebbe pensare che qui doveva esistere un’altra delle porte che probabilmente accoglieva il traffico (pedonale si intende) proveniente dalla sottostante Minori (da Torello, per l’odierna Via Crocelle). Le misure infatti dei resti si discostano da quelle della torre. Il sistema murario poi doveva continuare tagliando l’odierna rotabile che conduce in località S. Cosma all’altezza dell’ingresso del Ristorante “Salvatore”, dato che un’altra torre, identica nelle misure della prima individuata, la ritroviamo a filo del terrazzo del Ristorante “Garden”. A quel punto il muro doveva cominciare a piegare verso Est, correndo a valle della Villa Rufolo e della Chiesa dell’Annunziata. In questo tratto meritano attenzione un paio di costruzioni a metà strada tra l’Annunziata e la Chiesa della Madonna delle Grazie (ex S. Matteo del Pendolo), dove doveva esserci un’altra porta. Da questo punto, il muro sopravvive ancora in una macera di contenimento del terrazzamento a monte del quale sorgeva la chiesa di S. Andrea del Pendolo; qui il muro è caratterizzato dalla presenza ad intervalli di 30 m circa di elementi strutturali, identificabili con torri dalla pianta semplice (sotto i rovi sono presenti strutture con vani finestra a saettera). La sicurezza che questo sia ancora il muro che proviene dalla prima torre individuata viene data dalle caratteristiche del materiale da costruzione, identica pietra e identico colore della malta. Il muro, a questo punto, si collega ad una costruzione quadrata, adibita ad abitazione, che presenta caratteristiche che farebbero pensare ad una possibile ultima torre più grande, perché in prossimità dell’importante Porta Domnica, caratterizzata essa stessa dalla torre di guardia a sud. Che possa trattarsi in questo caso di un’unica struttura con la porta, lo escluderebbe la distanza tra le due strutture. Subito dopo Porta Domnica, il muro continua, con le stesse caratteristiche costruttive che lo permettono di identificare tra la vegetazione che caratterizza il giardino a sud della porta. Anche qui ritroviamo a distanza regolare i resti di torri quadrate, l’ultima delle quali si innesta direttamente allo sperone roccioso, tra la cui vegetazione è possibile seguire ancora per una ventina di metri i resti della murazione, che, per le caratteristiche geomorfologiche della zona ormai non era più necessaria. A questo punto siamo sulla verticale della moderna strada che porta alla località Torello. Da questo punto la parte del nucleo abitativo si trovava ad una notevole altezza rispetto alle vie di accesso e tra l’altro il sistema difensivo della città prevedeva ancora un ultimo baluardo verso sud. Quella che oggi viene chiamata comunemente la “torre di Civita” e che si può vedere dal belvedere di Villa Cimbrone un tempo era il castrum detto di Supramonte, ed era costituito da una torre di avvistamento rivolta verso il mare e da un muro che inglobava anche numerosi terrazzamenti, in modo da permettere l’autonomia in caso di attacco prolungato. Per questa struttura abbiamo numerose notizie nelle fonti antiche, a cominciare da uno sviluppo consistente dell’area terrazzata a partire dal X secolo, sì da poter affermare che se un’attività antropica c’è stata qui si è registrata sin dall’inizio della vita urbana del centro collinare e poi il regesto riportato dal Camera a cui si faceva riferimento all’inizio ricorda pure un intervento di potenziamento della difesa da svolgersi per il castello di Supramonte, potenziamento consistito in un muro che doveva partire dalla torre fino a giungere “ad pedem Montis de Cimbronis” e in due ulteriori torri.
La stessa fortuna nel ritrovare le tracce delle mura della città non l’abbiamo sul lato ovest del nucleo urbano, quello rivolto alla vicina città di Scala. Nella zona sottostante la Chiesa di S. Maria a Gradillo (il toponimo si riferisce all’antica scala che univa Ravello ai sottostanti paesi costieri e che ancora oggi è praticabile per chi vuol evitare la strada rotabile), fino a qualche decennio fa era possibile seguire parte di un muro con evidente scopo difensivo, caratterizzato da resti di torri. Oggi del muro è rimasto qualche lacerto poco identificabile e di una torre in particolare si può notare ancora la parte bassa, dove doveva esserci la cisterna per la raccolta delle acque e qualche resto di parete soprattutto a sud. Purtroppo non si riesce a vedere dove il muro continua anche se poi il centro urbano viene a trovarsi a notevole altezza, quindi probabilmente la difesa andava a chiudersi con il costone roccioso del pianoro sovrastante.
[1] Matteo Camera, Memorie storico-diplomatiche della città e ducato di Amalfi, volume 2, pag. 136.